America ed Europa domani come Italia oggi
Quel che è successo nella penisola italica ieri succede oggi e succederà domani in alquanti paesi occidentali.
Nell’antichità la società romana ibrida e decadente generò la società italiana remissiva, caotica, conflittuale. Dal secondo secolo avanti Cristo Roma e la Penisola italica accolsero milioni di individui provenienti da luoghi diversissimi del mondo allora conosciuto. Li ospitarono per farsi servire e per addossare a loro la fatica del lavoro non sopportata più dagli autoctoni. Il capitale li deportò a Roma e nella Penisola dalle loro terre per ingozzare se stesso fornendo braccia ai latifondi e servitori e comodità ai Trimalchioni, ai patrizi vecchi e nuovi. Non fu allora solo la formazione dei latifondi a rovinare l’Italia, ma fu anche e soprattutto l’eccessivo afflusso, la marea eterogenea di individui stranieri destinati a coltivare e a servire. Non solo i « latifundia perdidere Italiam », come constatò Plinio il Vecchio, ma soprattutto quei milioni di nuovi venuti, di cui i latifondi e i costumi decaduti degli ospitanti avevano bisogno. Tanti milioni di individui, molti dei quali non volentieri, giunsero in Italia come servi. Molti di essi si ambientarono, si emanciparono nel tempo, impararono la lingua latina e osservarono le leggi, progredirono, divennero liberti e liberi. Parecchi si arricchirono, svolsero ruoli a tutti i livelli, anche importantissimi di membri del governo. Ma essi, il cui numero in quei secoli andò crescendo nella società, furono e restarono individui estranei anche tra loro. Non ebbero e non acquisirono mai un sentimento comune. Non si compresero mai a fondo neppure fra di loro e non condivisero mai un comune sentimento di dedizione alla società in cui vivevano, alle istituzioni e allo stato. Molti di essi furono esemplari cittadini romani e italici, ossequiarono l’autorità e osservarono leggi e regole spinti dalla convenienza. Di solito restarono estranei anche tra loro e tramandarono alle generazioni seguenti la loro estraneità, la mancanza di coesione, la prevalente conflittualità, la tutela e la difesa dell’interesse particolare.
Nei secoli seguenti del Medioevo e dell’Età moderna, la penisola fu preda di invasori omogenei, di eserciti, di orde, di popoli. Ma fu nell’antichità che la disposizione e la condotta di tanti esseri eterogenei diedero origine al carattere e ai rapporti sociali degli Italiani.
La patologica difesa del proprio particolare, l’indifferenza e il mancante attaccamento a esigenze comuni e generali, dall’antichità si tramandarono nei secoli. Del prevalente « particulare » in Italia se ne avvide Francesco Guicciardini nel secolo XVI. La sostanziale estraneità, l’affezione morbosa per il proprio particolare e la conseguente conflittualità si possono constatare nel ventunesimo secolo in Italia e nel carattere e nel comportamento degli Italiani. E si può constatare pure che estraneità e conflittualità non hanno niente a che fare con il valore dei singoli individui, di cui sono innegabili la personale capacità di lavoro, l’impegno e la genialità. Per questo loro carattere gli Italiani sono capaci di svolgere proficui lavori individuali che richiedono sacrifici e rinunzie, ma sono svogliati e distratti, spinti piuttosto dal bisogno o dal calcolo e non da spontanea e allegra partecipazione, quando svolgono lavori collettivi.
In Occidente e in America, la società ebbe tutt’altro germoglio da quella italiana. Nelle province europee dell’impero romano decadente si riversarono popoli interi, con i loro usi e costumi, e non miriadi di singoli individui estranei anche tra loro. Pertanto, nel Medioevo e nei secoli seguenti, la società di quei provinciali fu omogenea, fu il risultato dell’evoluzione di comunità e di popoli compatti. Le avversità e gli ostacoli che quei provinciali dovettero superare, non intaccarono la loro compattezza e coesione. Sulla loro condotta molto influì la religione riformata da Lutero, Calvino e Zwingli, osservata da numerose sette e da popoli interi. Con il ricorso alla lettura diretta della Bibbia, in molta parte dell’Occidente assunsero valore la responsabilità dei singoli individui, il senso della loro personale debolezza e il bisogno di istruirsi e di pregare rivolgendosi direttamente a Dio. La società occidentale era coesa e la capacità dei suoi componenti di agire, di lavorare, di cantare in coro rimase pressoché immutata finché alcune novità non la sconvolsero. E questo avvenne quando nei paesi europei ed americani sorse l’esigenza di sostenere la crescita economica a tutti i costi e importando immigrati. Avvenne quando la colonizzazione di altri popoli e la rivoluzione industriale resero indispensabile la crescita economica illimitata. Per sostenerla gli occidentali si proiettarono fuori dai loro paesi, ne colonizzarono altri, da cui trassero materia prima necessaria per sostenere la crescita economica, ma in cambio importarono in Occidente milioni di individui di eterogenea provenienza. Il loro afflusso andò crescendo di pari passo con la crescita economica, con la crescita degli effetti negativi che questa produceva, come vizi, eccessivi consumi, incapacità di sopportare la fatica, di svolgere un normale lavoro, e quindi con il bisogno di integrare la popolazione attiva.
In Occidente, negli Stati europei e americani, si seguì in epoca moderna e si continua a seguire nel Duemila inoltrato il medesimo corso che gli antichi Romani e gli Italici seguirono millenni or sono. Il capitale, oggi come allora, annienta l’esistente, travolge valori e tradizioni, corrompe i costumi, introduce lo sconvolgimento nei rapporti umani e sociali. E fa tutto questo soprattutto per impinguare e accrescere se stesso.
Questi effetti letali del capitale non sono facilmente individuabili. La ricchezza e la potenza dei singoli paesi continuano a crescere o a restare elevate. In essi, l’economia progredisce, la società pulsa di vita, i cittadini continuano a operare e a progredire, a dar prova delle loro capacità. Ma nel seno della società fiorente, un tarlo rode l’intero sistema. In essa progrediscono l’inquinamento sociale, l’indifferenza verso le istituzioni, l’estraneità di molti. Lentamente i molti nuovi venuti sgretolano la compattezza e la coesione che furono all’origine della forza e del progresso del nucleo originario. E sarebbe utile sapere quanta parte dell’illegalità, della criminalità, del caos, della conflittualità, dell’indifferenza verso le istituzioni fino all’ostilità, sia da attribuire all’immigrazione affluita nel tempo. Si potrebbe così accertare che l’Occidente, dagli Stati europei agli Stati Uniti e ad altri Stati americani, ha seguito e segue lo stesso percorso seguito dall’Italia da molti secoli.
For comprehensive information on the subject, the following is suggested:
- Francesco Caracciolo, L'integrazione dell'«arcipelago migratorio» in Occidente, pp. 168;
- Francesco Caracciolo, Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra, pp. 408;
- Francesco Caracciolo, Mali estremi, pp. 176;
- Francesco Caracciolo, La folle corsa, pp. 304.