Immigrazione, promiscuità, disintegrazione
A parte la Chiesa Cattolica con il suo universalismo e il suo paternalismo, non sono pochi in Italia che pretendono dal proprio Paese di “aprire le porte”, accogliere e ospitare. Pur sapendo che l’afflusso può essere di innumerevoli individui, eterogenei e inconciliabili tra loro e con gli ospiti, aperturisti e buonisti continuano a pretendere e a difendere la loro accoglienza e ospitalità. La constatazione che l’Italia ha risorse esigue, che molti suoi cittadini non trovano lavoro e lo cercano altrove espatriando, non distoglie quei non pochi italiani che ritengono di essere progressisti, umanitaristi e altruisti, dal perseverare nella loro presunzione. Sulla scia dei dettami della Chiesa e delle esternazioni del pontefice, di cardinali e vescovi e in obbedianza alla dottrina vetero comunista di uguaglianza e giustizia sociale, tanti aperturisti e umanitaristi ammantano le loro pretese della necessità di soddisfare insopprimibili esigenze di pietà, di umanità e di amore del prossimo bisognoso e sofferente. Bisogna soccorrere, salvare vite, accogliere e ospitare, essi dicono, non solo per attuare i diritti umani e osservare le convenzioni internazionali, ma per soddisfare il sublime e insopprimibile sentimento di umana pietà. Essi mascherano così le loro pretese con princìpi universali e sentimenti sublimi che, anche se sono encomiabili, non possono rendere possibile ciò che è impossibile. Non possono violentare la realtà cercando di far passare un cammello per la cruna d’un ago. Eppure lo fanno o cercano e pretendono di farlo.
Ci domandiamo dunque. Come si fa a sostenere l’obbligo del soccorso, dell’accoglienza e dell’ospitalità? Come si fa a ignorare le dannose conseguenze dell’attuazione delle loro presuntuose pretese? Si può non tenere conto della capacità recettiva, della disponibilità di risorse del Paese accogliente e ospitante?
Eppure tanti aperturisti continuano a staffilare il proprio Paese che da quasi due decine di secoli, da quando ha finito di essere unito, dignitoso e orgoglioso di sé, soffre le angherie, i soprusi, le conquiste, le occupazioni, il dominio, lo scherno e il disprezzo degli altri Paesi. Dopo tanti secoli le genti della Penisola italica sono riusciti a riunirsi in uno stato con un volto politico, con un’individualità e con un solo nome e indirizzo. Dopo tanto lungo tempo il Paese così riunito ha cercato e forse ancora cerca di ritrovare la coesione, l’amalgama e la sostanziale unità di intenti. Ha cercato e forse cerca di ritrovare o di ricreare nei propri abitanti il sentimento di sé, l’orgoglio della propria identità, la fiducia nei propri requisiti e la fiera consapevolezza del proprio essere. Con gli strumenti istituzionali acquisiti, ha mirato e mira a far emergere in loro un carattere unitario che sopravanzi e sostiuisca l’atavica conflittualità, l’eccessivo egocentrismo alternato a scarsa fiducia in se stessi, la mancanza di stima delle proprie cose e di punti fermi di riferimento. Ha mirato e mira a eliminare quanto, difettoso com’è, è stato ereditato e proviene dal lontano passato. E fu allora, circa due decine di secoli or sono, che gli antenati dei suoi attuali abitanti andarono perdendo la loro identità, il loro orgoglio e il loro punto di riferimento. Allora andarono smarrendo quei valori e acquisirono il loro contrario: la disgregazione e la conflittualità. Mutarono i rapporti umani e sociali. Principale causa di questo mutamento fu la promiscuità di numerosi individui eterogenei, di provenienze, costumi e modi di vivere e di essere diversi, contrastanti e sostanzialmente inconciliabili. Quella promiscuità divenne conflittualità. Fu all’origine dell’ancestrale incapacità di coesione, di comune sentire e di unità d’intenti. L’eredità di tutto questo si tramandò con superficiali e occasionali mutamenti e giunse fino a noi. E oggi noi stiamo per rimpolparla, per ravvivarla, importando milioni di immigrati di provenienze, costumi, abitudini, modi di vivere e credi diversi e contrastanti. Sotto il manto della globalizzazione e a nome e in ossequio a obsolete convenzioni e a princìpi e diritti umanitari, stiamo stracaricando il Paese di umanità eterogenea e non integrabile. Stiamo aggiungendo alla vecchia ancestrale promiscuità nuova promiscuità, incomunicabilità e disintegrazione. E stiamo facendo tutto questo nonostante i tentativi non mai riusciti di eliminare o di attenuare quanto ci giungeva dal passato remoto.
Per avere esaurienti ragguagli sull'argomento si suggerisce quanto segue:
- Francesco Caracciolo, L'integrazione dell'«arcipelago migratorio» in Occidente, pp. 168;
- Francesco Caracciolo, Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra, pp. 408;
- Francesco Caracciolo, Mali estremi, pp. 176;