Ius soli, accoglienza e convivenza
Quanto avviene oggi in Italia e l’invasione che sta subendo il Paese rendono estremamente gravi e inaccettabili le inaudite proposte avanzate da membri delle istituzioni, come la ministra Kyenge, e le sciolte e spensierate tesi sostenute da politicanti e detentori di cariche pubbliche, come l’onorevole Boldrini. Nasce in me, semplice cittadino, un naturale impulso a reagire e a pormi alcune domande.
Come fanno tanti professionisti della politica e gestori delle istituzioni a non reagire alle iniziative e alle proposte che avanza la ministra Kyenge di applicare il principio dello ius soli, più o meno temperato?
Come fanno a non vedere il pericolo che c’è dietro le proposte e gli auspici dell’onorevole Boldrini e dei suoi ispiratori e sostenitori di garantire accoglienza e convivenza agli immigrati, che in Italia sono già diversi milioni?
Mi domando: si rendono conto di che cosa significhino proposte del genere; hanno cercato di prevedere dove porterebbe la traduzione nei fatti di auspici del genere?
Conferire la cittadinanza a chiunque nasca in Italia da genitori non italiani significa invitare le puerpere di tutte le razze che desiderano assicurare un avvenire promettente ai loro nascituri a venire in Italia a partorire. Significa incoraggiare e incrementare l’immigrazione di gente che cerca di migliorare la propria condizione. Significa accrescere senza limiti il sovrappopolamento di un Paese, l’Italia, che già soffre di disoccupazione e di emigrazione dei propri cittadini. Significa svuotare l’Italia dei propri cittadini autoctoni che, bene o male, hanno una certa identità e una certa coesione e popolarlo di gente che viene dai quattro venti, di ogni razza e colore, che non ha coesione alcuna, non ha identità alcuna, né c’è speranza che se la procuri. Significa colmare l’Italia di individui e di gruppi eterogenei che non si intenderanno mai tra loro e con la popolazione esistente e non si integreranno mai sostanzialmente, anche se apprenderanno la lingua e rispetteranno le leggi; anzi creeranno sconvolgimento sociale, produrranno conflittualità e faranno impallidire quel poco di identità e di coesione che c’è. Significa spingere ancor più in basso il Paese che naviga in brutte acque e, si può dire, è già sull’orlo del baratro.
Si può dire tutto questo perché si può prevedere quel che succederà quando, nel futuro non lontano, la popolazione che emergerà farà valere le proprie ibride e confuse esigenze, farà prevalere le proprie abitudini e il proprio credo e condizionerà e modellerà istituzioni e leggi.
Quando si giungerà a quel punto la conflittualità, che in Italia la popolazione oggi esistente ha ereditato dal passato, aumenterà fino a divenire incontrollabile anche alle istituzioni più severe.
Queste sono indicazioni di prospettive non certo rosee che tanti professionisti della politica e gestori delle istituzioni non prevedono e non temono. Essi vedono e calcolano solo una cosa che ripetono ad nauseam: che l’immigrazione, la presenza e l’afflusso anche se crescenti di immigrati sono fattori di crescita e fonti di benessere.
Si può dire che essi chiamano crescita e benessere lo sconvolgimento sociale: cioè vedono solo il contributo alla produzione che nell’immediato dà una parte degli immigrati e non vedono la confusione e la sostanziale disgregazione che si verificheranno nel futuro. Non vedono ciò che risulterà dalla disoccupazione e dall’emigrazione della popolazione autoctona e dall’occupazione nella produzione e nel crimine della popolazione eterogenea e caotica di immigrati. Chiamano crescita lo stravolgimento dell’esistente e la sua trasformazione in una realtà irriconoscibile e lontana mille miglia da quella finora creata dagli italiani e dai loro padri.
Roma 01/08/2013
Per avere esaurienti ragguagli sull'argomento si suggerisce:
- Francesco Caracciolo, L'integrazione dell'«arcipelago migratorio» in Occidente, pp. 168;
- Francesco Caracciolo, Come muore una civiltà e come sta morendo la nostra, pp. 408;
- Francesco Caracciolo, Mali estremi, pp. 176;