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  • Francesco Caracciolo ha ricevuto il Premio alla cultura nel 1985 e nel 1994, conferito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri

  • Ha ottenuto finanziamenti per la ricerca scientifica dal Ministero della Pubblica Istruzione e contributi dal Consiglio Nazionale delle Ricerche

  • È stato Forschungsstipendiat dell'Alexander von Humboldt Stiftung

  • Possibili effetti
    della rivoluzione tecnologica

    di Francesco Caracciolo

     

    Nel corso della prima rivoluzione industriale l’introduzione delle macchine nel processo produttivo creò disoccupazione che poi fu riassorbita nonostante la moltiplicazione delle macchine. La celere crescita dell’industria andò riducendo l’importanza che avevano fino allora avuto gli altri due settori produttivi, specialmente quello agricolo. Si diffuse il timore che l’eccessiva crescita dell’industria e la conseguente perdita del primato dell’agricoltura potessero accrescere la diffusa miseria della popolazione. Quanto stava accadendo destò l’interesse e le preoccupazioni di molti. Il profondo mutamento in atto divenne oggetto di accese discussioni in ambito politico e accademico e alimentò varie teorie che furono formulate da economisti e intellettuali di diverso e opposto orientamento.

    Negli ultimi decenni alla meccanica cresciuta enormemente si è aggiunta e in certa misura sovrapposta la tecnologia, con il suo corteo di elettronica e di digitale. Questo suo apporto ha potenziato, sviluppato e rivoluzionato la funzione delle macchine e minaccia di sostituire del tutto il lavoro dell’uomo. Gli effetti sono sorprendenti e non sono solo economici, ma sociali e culturali: influenzano la condotta umana e incidono sul costume e il modo di vivere. Si fa insistente pertanto il timore che la tecnologia renderà superfluo e sostituirà il lavoro umano. E ci si domanda come e quale sarà e come si evolverà la vita dell’uomo. Quale e come sarà nel futuro la sua esistenza se la disoccupazione diviene generale? È possibile la vita umana senza lavoro, come teorizzano alcuni sociologi e benpensanti? È possibile un’esistenza di ozio, mantenuti dalla tecnologia che provvederà, facendo le veci dell’uomo, a produrre le necessarie risorse e l’indispensabile reddito?

    Azzardiamo qualche spiegazione.

    Nei secoli la ricchezza di pochi e poi il diffuso benessere hanno generato eccessi e vizi. Se la tecnologia producesse ricchezza e benessere per tutti e se tutti potessero, beneficiandone, dedicarsi all’ozio, sarebbe questo l’otium degli antichi Romani o non diverrebbe invece un moltiplicatore degli eccessi e dei vizi? Si sarebbe l’uomo dato alla lettura, al riposo, alla cura del corpo e dello spirito, come richiedeva l’otium degli antichi, o si scatenerebbe nel malcostume, negli eccessi e nei vizi?

    In passato, con l’importanza dei settori produttivi, mutarono anche i loro reciproci rapporti e il ruolo che ognuno di essi svolgeva. Un confronto tra l’esperienza fatta allora e quella odierna potrebbe forse giovare a farci capire quale sarà lo sbocco di quanto sta avvenendo. Quel che avvenne in passato potrebbe esserci d’ausilio. L’esperienza fatta allora si potrebbe utilizzare forse solo sostituendo gli strumenti allora usati e i loro ruoli allora svolti con strumenti e ruoli odierni. Riducendo il campo, a mo’ d’esempio, si potrebbe sostituire il ruolo allora attribuito alla meccanizzazione nel determinare disoccupazione e povertà con quello che oggi si attribuisce alla tecnologizzazione e alla digitalizzazione nel causare disoccupazione e sconvolgimento del costume.

    All’indomani della prima rivoluzione industriale la crescita dell’industria e specie del suo eccesso destò allarme. A preoccuparsi furono anche gli stessi sostenitori dell’industrializzazione, i protezionisti. Si temeva che l’eccessiva crescita dell’industria potesse generare aumento della disoccupazione e della povertà. Sappiamo che questo timore si andò dileguando nel tempo. La disoccupazione che crebbe nei primi decenni dell’industrializzazione, andò diminuendo in seguito fino a stabilizzarsi entro limiti fisiologici per la crescita della domanda di lavoro che provenne non solo dal settore industriale. Con la produzione crebbe la popolazione e andò crescendo il consumo di beni anche voluttuari.

    Inoltrandosi il secolo ventunesimo si constata che la tecnologia si sta espandendo senza sosta. Se ne temono gli effetti che possono essere radicali e sconvolgenti, più di quelli della prima rivoluzione industriale. Si può prevedere che essa possa produrre crescendo gli stessi effetti che generò l’industrializzazione, cioè il riassorbimento della disoccupazione che aveva creato nella sua prima fase. Al contrario, prevale il timore che la tecnologizzazione generi e accresca sempre più disoccupazione. E anzi si teme che la disoccupazione possa crescere più di quanto fosse aumentata durante la prima fase dell’industrializzazione e che la sua crescita vada aumentando insieme con la tecnologizzazione. Non tutti condividono questo prevalente timore. Alcuni sociologi sostengono che l’èra tecnologica non è da temere ma è anzi da auspicare perché sgrava l’uomo dal peso della fatica e del lavoro e lo rende libero.

    Nei secoli la ricchezza di pochi e poi il diffuso benessere hanno generato eccessi e vizi. Se la tecnologia producesse ricchezza e benessere per tutti e se tutti potessero, beneficiandone, dedicarsi all’ozio, sarebbe questo l’otium degli antichi Romani o non diverrebbe invece un moltiplicatore degli eccessi e dei vizi? Si sarebbe l’uomo dato alla lettura, al riposo, alla cura del corpo e dello spirito, come richiedeva l’otium degli antichi, o si scatenerebbe nel malcostume, negli eccessi e nei vizi?

    Possiamo ipotizzare che si verifichi quanto costoro sostengono.

    Certo la tecnologia potrà crescere fino a giungere a progettare e a riprodurre se stessa e a sostituire il lavoro dell’uomo. Non dovendo più lavorare, nemmeno per progettare, l’uomo si dedicherebbe ad altro. Ma a che cosa? Non dovendo faticare per vivere, si dedicherebbe soprattutto all’ozio, alla cura di elevate esigenze spirituali. Tuttavia, il facile accesso ai beni prodotti in abbondanza dalla progredita tecnologia, non soddisfarrebbe tutti i bisogni. Uno di questi sarebbe il bisogno sessuale. Per poterlo soddisfare acquisendone i mezzi, il possesso dei beni e il potere, si renderebbe necessario procurarseli proseguendo la lotta. Non sarebbe il solo bisogno insoddisfatto. La facile e abbondante produzione di beni potrebbe far aumentare la popolazione, il consumo, i rifiuti, l’inquinamento e l’insufficienza di altri beni come l’acqua. Certo, il crescente consumo sarebbe alimentato dalla superproduzione tecnologica. Ma il resto? E la lotta per il possesso di beni e per il potere come si eviterebbe? E gli effetti del consumismo, cioè i rifiuti, l’inquinamento, l’insufficienza d’acqua, come si potrebbero eliminare? Cos’altro si può immaginare come prodotto di un mondo tecnologico che cresce all’infinito?

    Si potrebbe dunque temere che l’aumento del disimpegno e dell’ozio genererebbe aumento dei vizi, disaffezione al lavoro, incapacità di sopportare la fatica, prevalente dedizione alle aberrazioni. Aumenterebbero certo, con la popolazione e il consumo, i rifiuti, l’esaurimento dello spazio vitale, la crescita della conflittualità e, a lungo termine, il decadimento fisico, la diminuzione della procreazione e della popolazione e la fine della specie umana.

    In qualche secolo l’umanità si potrebbe così disporre a sottoporsi al giudizio universale.

    Questa è una spiegazione inverosimile data in risposta all’ipotesi di un timore e di un auspicio forse infondati. Non è superfluo qualche confronto. Con la prima rivoluzione industriale crebbero la produzione e il consumo e, nonostante l’aumento dell’occupazione che seguì, i vizi e le aberrazioni. Quanto è avvenuto suggerisce che con la tecnologizzazione potrebbero aumentare la produzione e i consumi, e l’occupazione che diminuirebbe sgraverebbe l’uomo dal peso del lavoro e della fatica. Ma quanti più vizi e aberrazioni emergerebbero e si moltiplicherebbero in un’umanità disoccupata e disabituata a sottoporsi al lavoro e a sopportare la fatica?

    Se quanto alcuni sostengono si verificasse, non è peregrino credere che forse, con la disoccupazione, la tecnologizzazione potrebbe generare sovrapproduzione, consumismo, degenerazione e morte.

    Francesco Caracciolo

    E indichiamo:

    - Francesco Caracciolo, "Industrializzazione" di prossima pubblicazione

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